La cura del silenzio: recensione del romanzo di Kim Hye-Jin

Un romanzo sul silenzio potrebbe, a prima vista, apparire paradossale. La cura del silenzio, di Kim Hye-Jin, mostra invece che, quando la conversazione collettiva si spegne, la voce interiore acquista una forza inattesa. Hae-su, un tempo psicoterapeuta richiesta e volto di un talk show seguitissimo, precipita nell’isolamento dopo un commento che il pubblico giudica imperdonabile.

Relegata in un appartamento che funge insieme da rifugio e gabbia, riempie quaderni di lettere mai spedite, nel tentativo di alleggerire il peso della colpa. La penna, però, si arresta a metà frase, quasi a suggellare l’insufficienza del linguaggio. In quel vuoto trova spazio un ascolto diverso, destinato a presentarsi nei panni inaspettati di una bambina di nove anni, Se-i, e di un gatto randagio, Ravanello, entrambi segnati da piccole ma evidenti cicatrici.

Il silenzio che avvolge e cura

Nel romanzo il silenzio non coincide con l’assenza, ma diventa luogo terapeutico in cui le ferite respirano. Abituata a distribuire analisi puntuali, Hae-su scopre che lasciare sedimentare le parole consente al dolore di emergere con minor violenza, come acqua che filtra dal terreno invece di esplodere in geyser.

Le passeggiate notturne, segnate dal passo felpato di Ravanello, costruiscono un’atmosfera sospesa; ogni suono assume il valore di un messaggio.

Tre solitudini che si riconoscono

Hae-su trascorre le ore chiusa fra quattro mura, Se-i rientra in una casa deserta, Ravanello rovista nei vicoli in cerca di cibo. Tre orbite isolate che finiscono per intersecarsi in un incontro fortuito, quasi un cortocircuito del destino.

Kim descrive la nascita di un patto tacito: la donna vede nel gatto la propria ferita esposta; la bambina individua nell’adulta un’alleata silenziosa; l’animale riconosce mani che non lo scacciano.

Senza retorica, l’autrice dimostra come la cura possa fluire in entrambe le direzioni. Perfino il gatto, con il suo avvicinarsi guardingo, ricorda che la fiducia esiste, ma va conquistata con pazienza.

Nell’era dei social, dove l’errore rischia di trasformarsi in etichetta permanente, la vicenda di Hae-su illumina la possibilità di un perdono sincero – prima verso sé stessi, poi verso gli altri. La cura del silenzio propone una riflessione sull’isolamento generato dal giudizio collettivo e sul desiderio di rapporti autentici.

Gianluca Rini

Sono laureato in Comunicazione e Multimedia e in Scienze Turistiche, ho conseguito un Master in Giornalismo e Comunicazione. I miei interessi vanno dalla tecnologia a tutto ciò che riguarda la cultura.