Perché nei romanzi giapponesi sono spesso presenti i gatti? I motivi del successo dei felini

La tradizione letteraria giapponese parte da testi sacri per arrivare ai romanzi moderni. Da qualche tempo, sembra che un tratto distintivo delle novità in libreria sia la presenza di gatti come personaggi ricorrenti. A prima vista, pare che tutto ruoti attorno ai felini, ma vale la pena capire se sia soltanto una moda o un riflesso di un legame culturale profondo.

I grandi nomi della letteratura nipponica

Nel panorama giapponese, emergono tre autori considerati fondamentali per comprendere l’identità narrativa del Paese.

Natsume Sōseki ha interpretato le influenze occidentali integrandole in storie impregnate della sensibilità tipica del Giappone. Il suo romanzo Io sono un gatto mostra il mondo attraverso gli occhi di un felino che descrive, con arguta ironia, la società. Questa prospettiva ha contribuito a trasformare il gatto in una figura narrativa versatile, capace di avvicinare temi quotidiani e riflessioni filosofiche.

Jun’ichirō Tanizaki ha concentrato la propria scrittura sul tema della bellezza tradizionale. La cura per i dettagli simbolici, presente nei suoi romanzi, si ritrova nell’immaginario letterario che circonda il gatto, spesso descritto con grazia e mistero.

Yukio Mishima ha messo in scena conflitti interiori e rituali legati al passato, creando storie intrise di passione e contrasti tra modernità e classiche tradizioni.

I felini nella cultura giapponese: tra fortuna e meraviglia

Fin dai secoli più antichi, il gatto occupa un ruolo importante nell’immaginario nipponico. Il maneki-neko, ovvero il felino con la zampa alzata presente in molti templi e negozi, simboleggia prosperità e protezione. Questo animale viene spesso percepito come un essere che vive a metà fra il quotidiano e il soprannaturale, qualità ideale per introdurre elementi di meraviglia nelle trame.

Autori contemporanei hanno sottolineato tale aspetto. Haruki Murakami ricorre di frequente alla presenza dei gatti, come in Kafka sulla spiaggia, in cui si racconta di un personaggio capace di comunicare mentalmente con loro. I felini diventano così un varco tra la realtà e dimensioni alternative.

Hiro Arikawa, con titoli come Il gatto che voleva salvare i libri e Cronache di un gatto viaggiatore, utilizza la figura del micio per scavare in temi profondi, fra cui perdita e memoria.

Takashi Hiraide, attraverso la delicata narrazione de Il gatto venuto dal cielo, regala ritratti intensi della vita quotidiana, mettendo in risalto il valore emotivo che un animale domestico può suscitare.

Una passione letteraria che va oltre il felino

Lo Studio Ghibli, con opere come Neko no Ongaeshi (La ricompensa del gatto), ha rafforzato l’attrattiva dei mici anche nei film animati. Nonostante questa costante presenza, la letteratura giapponese non ruota esclusivamente intorno a zampe e fusa.

Scrittori come Banana Yoshimoto, Ryū Murakami e Kenzaburō Ōe dimostrano che i romanzi giapponesi affrontano temi che spaziano dalle relazioni familiari all’analisi sociale, passando per la memoria storica e l’indagine psicologica.

Quindi, la scelta di mettere spesso il gatto al centro di tanti racconti nasce da una radice culturale che esalta il connubio tra quotidianità e fascino del mistero. Chi ama storie sospese tra introspezione e incanto troverà in queste opere un universo unico, dove un semplice animale riesce a trasformare piccole vicende in esperienze letterarie di grande intensità.

Gianluca Rini

Sono laureato in Comunicazione e Multimedia e in Scienze Turistiche, ho conseguito un Master in Giornalismo e Comunicazione. I miei interessi vanno dalla tecnologia a tutto ciò che riguarda la cultura.

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