L’assassinio del commendatore, Idee che affiorano: recensione del libro di Murakami Haruki
Un viaggio nell’Hokkaidō, tra solitudine e introspezione, tra paesaggi remoti e rivelazioni inaspettate. Così si apre L’assassinio del commendatore: Idee che affiorano, primo volume del ritorno di Murakami Haruki alle atmosfere rarefatte e visionarie di 1Q84. Con questa opera, Murakami ci trascina nei meandri di un’arte che non conosce limiti, mischiando realtà e immaginazione con la maestria a cui ci ha ormai abituati. Questo libro è un invito a confrontarsi con ciò che si cela dietro il velo dell’apparenza.
Il ritratto di un uomo sconfitto
Il protagonista di questa storia è un artista, un pittore rassegnato, che si ritrova a un bivio nella sua vita. A trentasei anni, senza più una moglie e con un lavoro che non lo soddisfa, decide di lasciarsi tutto alle spalle, caricando in macchina poche cose: vestiti, matite e un vago desiderio di fuga. Vagabondare tra le montagne e le coste dell’Hokkaidō diventa il suo modo di trovare un nuovo equilibrio, o forse solo di scappare da tutto ciò che l’ha tradito.
Ma sarà l’offerta di un amico a dare una nuova direzione al suo cammino. Andare a vivere nella casa del padre dell’amico – un luogo silenzioso, immerso nei boschi e intriso della storia di uno dei più importanti pittori giapponesi, Amada Tomohiko – segna l’inizio di una trasformazione interiore profonda. Le mura di quella casa portano con sé una certa magia, un invito irresistibile a scoprire il non detto, a confrontarsi con ciò che è stato nascosto.
L’incontro con il mistero
Tra le stanze polverose della casa, il protagonista trova un quadro nascosto nel sottotetto, dipinto e poi dimenticato. La tela rappresenta una scena oscura, difficile da comprendere ma impossibile da ignorare, come se sprigionasse una violenza pronta a esplodere. Un dipinto che sembra avere un’anima, capace di lasciare una traccia inquietante nel cuore di chi lo osserva.
Questa scoperta è solo l’inizio di una serie di eventi sempre più strani. Una notte, il suono delicato e misterioso di una campanella giunge dal bosco, e l’artista decide di seguire quel richiamo. Camminando tra gli alberi, giunge a un piccolo tempio abbandonato e a un tumulo di pietre. Un luogo che sembra parlare, evocare una presenza nascosta, una voce che attraversa mondi. C’è qualcuno lì sotto? Oppure qualcosa? L’atmosfera si fa onirica, e la sottile linea che separa realtà e immaginazione sembra dissolversi.
Un’indagine sull’arte e sulla fragilità
L’assassinio del commendatore si muove su più livelli, esplorando l’arte come mezzo per ricostruire se stessi. Murakami racconta di traumi – quelli personali, come la fine di un amore, e quelli collettivi, come le tragedie – ma lo fa senza mai scivolare nella disperazione. L’arte diventa così un’ancora, un modo per riscoprire la propria fragilità e trasformarla in una forza.
L’opera di Murakami invita il lettore a interrogarsi su cosa significhi davvero guardare dentro se stessi. Il protagonista, con il suo talento soffocato e le sue insicurezze, diventa un riflesso di quella parte di noi che a volte teme di non essere abbastanza. Attraverso la scoperta del dipinto di Tomohiko e degli strani eventi che seguiranno, Murakami ci spinge a credere nel potere delle idee che affiorano, anche quando sono confuse, oscure, inquietanti.