Terapia di gruppo per serial killer, di Saratoga Schaefer: recensione del thriller
La scena è quella di una New York cupa, attraversata da pioggia battente e sirene lontane, dove la recente uccisione di Mira Griffin grava come un macigno sul quartiere di Prospect Park. Gli investigatori non hanno risolto il caso, i giornali archiviano velocemente il fatto di cronaca, eppure Cyra, sorella maggiore della vittima, non accetta l’oblio.
Perché l’unico indizio rimasto è un flebile sussurro: da qualche parte in città un circolo di assassini condivide i propri trionfi, perfeziona metodi di occultamento, elargisce consigli macabri. Da qui inizia un romanzo che trattiene il lettore con artigli affilati.
Un concept originale
Saratoga Schaefer, in Terapia di gruppo per serial killer, parte da un’idea che, di per sé, genera un brivido lungo la schiena: le riunioni diventano un paravento dietro il quale chi uccide si vanta, esibisce trofei, impara a eludere indagini forensi.
Python, Pea Crab, Cuckoo e Lamprey si incontrano in un seminterrato, mentre l’anonimato garantito dal moderatore permette loro di spalancare abissi. Il risultato è un microcosmo inquietante, reso credibile da dettagli e dialoghi taglienti. L’autrice spinge il lettore a chiedersi quante ombre si nascondano dietro volti apparentemente normali.
Cyra e la maschera di Mistletoe
Dopo un litigio mai sanato con Mira, Cyra indossa l’identità glaciale di Mistletoe e si insinua tra quei predatori. La sua trasformazione, graduale, quasi ipnotica, è il vero motore emotivo del romanzo.
Da semplice sorella in lutto, la giovane donna diventa attrice consumata, capace di mentire all’uditorio e a se stessa, fino a contemplare possibilità altrimenti impensabili.
Questa metamorfosi è descritta con rara intensità: l’autrice modula il respiro del testo, inserendo flashback che illuminano rimorsi, ricordi, rancori latenti. Così, pagina dopo pagina, Cyra rischia di accorgersi che la linea tra caccia e contaminazione è più sottile di quanto immaginasse.
Sotto l’aspetto spettacolare, la storia interroga la responsabilità individuale e il fascino dell’abisso. Fingere di essere spietati, suggerisce il romanzo, significa talvolta scoprire parti di sé che non spariranno semplicemente richiudendo la porta del seminterrato.
Il libro parla dunque anche di potere, di controllo e di quanto il desiderio di giustizia possa degenerare in una spirale di violenza speculare a quella dell’assassino.
Chiudendo il libro, resta il sapore di un interrogativo: quanto sacrificio costa la vendetta e dove si colloca il punto di non ritorno? Se cercate un romanzo capace di unire brivido, ritmo incalzante e spunti morali, Terapia di gruppo per serial killer merita senza dubbio un posto nella vostra prossima lettura.