Il gatto dai sette nomi: recensione del romanzo di Federico Santaiti
Il gatto dai sette nomi, opera di Federico Santaiti, si apre con la figura di un micetto affamato, bagnato dalla pioggia, che annusa l’asfalto di un paese ancora sconosciuto. Da quel nasino sporco parte un racconto corale in cui il felino, per puro istinto esplorativo, tocca vite segnate da isolamento, precarietà e ambizioni sepolte. Il risultato è una narrazione luminosa, in grado di mostrare come un incontro casuale possa rimettere in moto affetti e desideri sopiti, ricordando a ogni lettore la forza rigenerante della cura reciproca.
Trama e contesto
Il romanzo racconta le peregrinazioni di un cucciolo di appena sei settimane che, capitolo dopo capitolo, riceve un nome differente da ogni persona che incrocia: Matilde, adolescente presa di mira dai compagni; Mario, fattorino licenziato senza preavviso; Elena, manager di successo che ha perso di vista se stessa; Teresa, anziana vedova con giornate immobili; Diana e Paolo, due solitari uniti da un caso fortunato; Demir, giovane idealista in cerca di un futuro più grande dei confini del suo quartiere.
A ciascuno di loro il gatto offre una presenza costante, discreta, capace di sciogliere rancori e aprire varchi di fiducia. La scelta di un gatto come collante delle diverse linee narrative permette all’autore di esplorare con delicatezza temi universali: fragilità, solidarietà e riscatto personale.
Un protagonista felino fuori dal comune
Il micio non possiede facoltà magiche né parla con gli umani; deve picchiare i denti dal freddo, rifugiarsi sotto i portici, conquistare cibo con miagolii astuti. Proprio per questo la sua funzione simbolica risulta credibile: nella sua vulnerabilità i personaggi riconoscono la propria e in quel riconoscimento trovano il coraggio di cambiare rotta.
Federico Santaiti disegna il felino con tratti vividi, il pelo arruffato, gli occhi verde scuro che brillano, ma evita di trasformarlo in mascotte, mantenendo un equilibrio tra tenerezza e realismo.
Temi portanti della storia
La storia parla di solitudine urbana e di legami che nascono dove meno ci si aspetta. Ogni capitolo offre un punto di vista differente e la voce narrante, pur restando esterna, accoglie con empatia l’intimo di ogni figura umana.
Fra le righe emerge una riflessione sottile: chi si prende cura di qualcuno finisce per guarire parti di sé che non conosceva. Il messaggio non risulta mai pedante: sono i gesti quotidiani a restituire valore ad esistenze stanche.