La casa senza ricordi: recensione del romanzo di Donato Carrisi
Nella Valle dell’Inferno, un luogo dal nome già di per sé inquietante, viene ritrovato un bambino che nessuno cercava più. Ha dodici anni, si chiama Nico e, almeno in apparenza, sta bene: ha vestiti puliti, non presenta ferite, qualcuno ha continuato a occuparsi di lui durante la scomparsa.
Eppure c’è qualcosa che non torna. Il silenzio ostinato del ragazzino, il vuoto assoluto nei suoi occhi, la mente come un labirinto sbarrato. Donato Carrisi, maestro italiano del thriller psicologico, ci trascina ancora una volta in un romanzo che non concede respiro, intitolato La casa senza ricordi.
Un bambino senza passato e un uomo in cerca della verità
Nico è un enigma vivente. Quando viene affidato a Pietro Gerber, la speranza di ricostruire ciò che è andato perduto si affida a un uomo che ha fatto dell’ipnosi uno strumento di indagine. Gerber non è un personaggio qualsiasi: viene definito “l’addormentatore di bambini”, un soprannome che evoca fascino e inquietudine allo stesso tempo. Il suo compito? Entrare nella mente chiusa di Nico, dove nessuno è riuscito a mettere piede.
Attraverso una narrazione intensa e minuziosa, Donato Carrisi costruisce un viaggio nei territori oscuri della memoria. Nico non ricorda, eppure conserva dentro di sé qualcosa. Un dettaglio, un’immagine, una parola possono bastare per far riemergere la verità. Quando finalmente l’ipnotista riesce a trovare il giusto “grimaldello”, ciò che viene alla luce non è quello che ci si aspetta. La voce che parla sembra quella del bambino, ma la storia che racconta appartiene a un’altra vita.
Inganni, specchi e identità perdute: Donato Carrisi gioca con la mente
Carrisi costruisce una trama a spirale: ogni passo avanti sembra condurre indietro, ogni scoperta porta con sé una nuova incertezza. I lettori si trovano a camminare insieme a Pietro Gerber, sospesi tra ciò che appare e ciò che si nasconde dietro l’apparenza. La casa senza ricordi non è soltanto un thriller: è una riflessione profonda sull’identità, sull’influenza del linguaggio e sulla fragilità della mente umana.
La scrittura di Donato Carrisi resta fedele al suo stile: essenziale ma mai spoglia, rapida ma capace di scavare a fondo. I dialoghi, a volte quasi sussurrati, trascinano il lettore dentro stanze chiuse a chiave, dove ogni parola potrebbe essere la chiave sbagliata o quella decisiva. La suspense non nasce da inseguimenti o colpi improvvisi, ma dallo scivolare lento dentro l’inquietudine, dalla sensazione costante che ci sia sempre qualcosa che non quadra.